Andrea Mandolesi

Multa con autovelox

 

Si segnala alla cortese attenzione dei lettori, la recentissima ordinanza della  Seconda Sezione Civile della Cassazione del 5 aprile 2011, n. 7785, che, respingendo il ricorso di un Comune nei confronti di un automobilista al quale era stata contestata una multa per eccesso di velocità rilevata con autovelox, ha stabilito che  dal verbale di accertamento debba emergere “adeguatamente” che il rilevamento sia stato fatto da un agente preposto al servizio di polizia stradale, altrimenti la multa può essere annullata.

 

Dal verbale di accertamento non emergeva che il rilevamento della velocità fosse avvenuto ad opera di un agente preposto al servizio di polizia stradale, unico abilitato ad attribuire fede privilegiata all’accertamento.

 

Il giudice nomofilattico ha, quindi, dato ragione all’automobilista che lamentava la mancata partecipazione di un agente di polizia municipale alla attività di «elaborazione dell’accertamento».

 

In effetti, il Comune aveva ammesso di aver attribuito l’intera gestione a una ditta esterna, indicando soltanto genericamente una “supervisione” da parte della Polizia municipale e risultando in tal modo non dimostrata l’esistenza di quell’elemento di certezza e legalità che unicamente la presenza del pubblico ufficiale può garantire al cittadino.

 

Di seguito la pronuncia:

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE II CIVILE

Ordinanza 5 aprile 2011, n. 7785

 

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

 

1) Il 5 novembre 2008 il tribunale di Bolzano, sez. staccata di Merano, in riforma della sentenza resa il 26 febbraio 2007 dal giudice di pace di Merano, accoglieva l’appello proposto da B.M., la quale aveva proposto opposizione al verbale di accertamento di violazione dell’art. 142 C.d.S., comma 8, verificata il 20 gennaio 2005 alle 19,37 dalla polizia municipale di Lagundo.

 

Per quanto ancora qui interessa, il tribunale riteneva fondata la censura attinente alla necessità di taratura dell’apparecchiatura elettronica utilizzata per il rilevamento e all’onere dell’amministrazione di dar prova della relativa operazione, necessaria per la regolarità della rilevazione.

 

Riteneva inoltre viziato il verbale di accertamento, perchè l’Amministrazione si era avvalsa di una ditta privata per la gestione degli apparecchi di rilevamento e aveva affermato che l’attività di quest’ultima era stata svolta sotto la supervisione della Polizia Municipale, senza però specificare in cosa consistesse la supervisione e senza indicare concretamente come fosse stato organizzato il collegamento tra l’attività di rilevamento delle infrazioni ed il soggetto preposto al servizio di Polizia.

 

2) Notificata la sentenza in data 10 dicembre 2008, il Comune di Lagundo ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 5 febbraio 2009.

 

L’opponente è rimasta intimata.

 

Il giudice relatore ha avviato la causa a decisione con il rito previsto per il procedimento in camera di consiglio.

 

3) Il ricorso consta di due motivi, volti a confutare le due rationes decidendi che sorreggono la decisione.

 

Quanto al primo motivo, come ha rilevato la relazione depositata ex art. 380 bis c.p.c., è manifesta la fondatezza della censura esposta in ricorso.

 

Questa Corte ha da tempo ritenuto che in tema di sanzioni amministrative per violazioni al codice della strada, le apparecchiature elettroniche regolarmente omologate utilizzate per rilevare le violazioni dei limiti di velocità stabiliti, come previsto dall’art. 142 C.d.S., non devono), sottoposte ai controlli previsti dalla L. n. 273 del 1991, istitutiva del sistema nazionale di taratura. Tale sistema di controlli, infatti, attiene alla materia ed metrologica diversa rispetto a quella della misurazione elettronica della velocità ed è competenza di autorità amministrative diverse, rispetto a quelle pertinenti al caso di specie (Cass. 23978/07; 29333/08; 9846/2010).

 

Ne consegue che non deve essere fornita dall’amministrazione alcuna prova della esecuzione dell’operazione di taratura e va comunque ribadito che, in materia di violazione delle norme del codice della strada relative ai limiti di velocità, l’efficacia probatoria dello strumento rivelatore del superamento di tali limiti opera fino a quando sia accertato, nel caso concreto, sulla base di circostanze allegate dall’opponente e debitamente provate, il difetto di costruzione, installazione o funzionamento del dispositivo elettronico (Cass. 10212/05; 287/05).

 

4) Diversa valutazione occorre invece dare per il secondo motivo, che denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 11 e 12 C.d.S..

 

Il Collegio ritiene che nè il motivo, nè tantomeno il quesito riescono a censurare convenientemente le ragioni della decisione.

 

Per il giudice di appello, dal verbale di accertamento non emergeva adeguatamente che il rilevamento, cioè “l’elaborazione della rilevazione”, avveniva ad opera di un agente preposto al servizio di polizia stradale, unico abilitato ad attribuire fede privilegiata all’accertamento. In particolare il tribunale aveva sottolineato che l’Amministrazione aveva ammesso di aver affidato “l’intera gestione” degli apparecchi alla ditta Tarasconi e aveva solo genericamente asserito che la supervisione veniva svolta dalla Polizia municipale;

 

in tal modo sarebbe rimasto indimostrato lo svolgimento di quell’elemento di certezza e legalità che “solo la presenza del pubblico ufficiale può garantire al cittadino”.

 

Il comune ricorrente doveva confutare tale convincimento, dimostrando che l’assistenza tecnica di un privato operatore era limitata all’installazione ed all’impostazione dell’apparecchiatura, secondo le indicazioni del pubblico ufficiale; che la gestione delle apparecchiature elettroniche per l’accertamento delle infrazioni (art. 345 reg. esec. C.d.S., comma 4) era rimasta riservata ai pubblici ufficiali (art. 11 e 12 C.d.S.); che l’assistenza tecnica dell’operatore privato era configurabile come un ruolo subordinato a quello dei vigili urbani (Cass. 7306/96; 5378/97).

 

Parte ricorrente si duole della statuizione della sentenza impugnata, che avrebbe negato valore alle attestazioni dell’accertamento in ordine allo svolgimento del servizio da parte dell’organo di polizia municipale, sebbene ciò si evincesse “dal verbale di contestazione, il quale oltre ad indicare il responsabile del procedimento informatico ai sensi del D.Lgs. n. 39 del 2003, art. 3, comma 2, veniva sottoscritto dall’agente verbalizzante”, così dimostrando il “collegamento tra l’attività espletata dalla ditta privata e l’organo preposto al servizio di polizia stradale”.

 

Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto: Dica la S.C. se l’affidamento del procedimento relativo all’elaborazione dei dati risultanti dalle apparecchiature elettroniche utilizzate dall’amministrazione comunale per il rilevamento di infrazioni ex art. 142 C.d.S., sia o meno in contrasto con le disposizioni di cui agli artt. 11 e 12 C.d.S.”.

 

In tal modo, come è evidente, il Comune si limita a sostenere che sarebbe stato affidato ai privati solo il procedimento relativo all’elaborazione dei dati e che ciò sarebbe legittimo, senza cogliere – e senza confutare – il rimprovero maggiore, cioè che il rilevamento non era attribuibile alla forza pubblica, perchè era rimasto indeterminato il necessario ruolo di preminenza di essa, posto che non era stato specificato in cosa consistesse la “supervisione” dei vigili.

 

Il ricorso ha espressamente concentrato la sua attenzione su un profilo attinente la violazione di legge (artt. 11 e 12 C.d.S., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) che non era controverso. Doveva esserne dimostrata l’osservanza, censurando la valutazione della sentenza impugnata in ordine alla prova del ruolo svolto dagli agenti verbalizzanti. A tal fine doveva essere denunciato un vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) della sentenza, in relazione alla omessa o cattiva valutazione di una qualche risultanza processuale, dalla quale doveva emergere che l’attività della forza pubblica era stata solo supportata e non sostanzialmente sostituita dall’operatore privato.

 

Tale censura non è stata svolta. Inoltre, il generico riferimento al verbale di accertamento, del quale, violando il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, non è stato neppure trascritto in ricorso il contenuto, impedisce di tenerne conto, poichè questa Corte non ha accesso agli atti di causa in relazione ai vizi in iudicando (art. 360 c.p.c., n. 3) e alle censure sulla motivazione. Ne consegue che una delle due autonome rationes decidendi resta valida ed è sufficiente a giustificare la decisione di merito.

 

Al rigetto del ricorso non fa seguito la pronuncia sulle spese di lite, in mancanza di attività difensiva dell’intimata.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.