Andrea Mandolesi

L’assegno non spetta alla moglie se è più ricca del marito già prima del divorzio

Con l’ordinanza 42145 pubblicata il 31.12.2021, la sez. I civile della Corte di Cassazione ha messo il punto ad una contesa tra due coniugi andata avanti per più di cinque lustri.

Il marito, ingegnere, dopo la separazione si era messo in proprio costituendo una società di consulenza. Il suo reddito era diminuito rispetto al momento della separazione. La moglie, laureata in giurisprudenza, aveva svolto la pratica forense ma non aveva mai sostenuto, per sua scelta, l’esame di abilitazione alla professione. La facoltosa famiglia di origine l’aveva sempre appoggiata economicamente.

La casa coniugale, di proprietà esclusiva della moglie, che aveva altri numerosi immobili ereditati, la disponibilità di una casa a Rapallo e di una villa in Sardegna ove la famiglia era solita trascorrere le vacanze estive, era stata assegnata alla moglie stessa.

In sede di divorzio, la signora richiedeva la corresponsione di un assegno al marito in virtù di un denunciato squilibrio reddituale a proprio sfavore, del fatto che non aveva mai lavorato pur essendo laureata in giurisprudenza e che a circa 50 anni non poteva trovare un lavoro che le garantisse il mantenimento del tenore di vita goduto in matrimonio.

Il giudice di primo grado accertava che la moglie, pur essendo priva di occupazione, fruiva di ingenti aiuti economici da parte della famiglia di origine tanto da poter condurre al momento della pronuncia un tenore di vita agiato. Tuttavia, le riconosceva un assegno di modesto in virtù di una situazione reddituale apparentemente più sicura in capo al marito.

Il Tribunale quindi affermava la natura eminentemente assistenziale dell’assegno di divorzio e la necessità di valutare l’adeguatezza dei mezzi del richiedente in base al paramento del tenore di vita goduto durante il matrimonio. L’esigua misura dell’assegno concesso si giustificava con il fatto che la signora avesse un patrimonio particolarmente consistente e costanti aiuti dalla famiglia di provenienza.

Avverso la sentenza di primo grado entrambe le parti proponevano appello.

Il marito chiedeva la revoca dell’assegno divorzile concesso, seppur in misura modesta, alla moglie.

Ancora una volta sostenevo che il tenore di vita agiato goduto dalla moglie in costanza di matrimonio non derivava dai redditi dell’appellato ma da quelli posseduti dalla famiglia di origine della stessa, che le avevano permesso di non svolgere alcuna attività lavorativa al di fuori delle mura domestiche pur mantenendo la colf sia prima che dopo la separazione dal marito. Vi era poi un problema di onere della prova in considerazione del fatto che la richiedente non aveva comunque dimostrato il tenore di vita tenuto in costanza di matrimonio nè il deterioramento avvenuto in seguito al divorzio.

In corso di appello la Corte di Cassazione depositava la sentenza n. 11504 del 10.05.2017 che criticava ed abbandonava il parametro del tenore di vita. Entrambe le parti prendevano posizione sul nuovo orientamento ivi espresso.

La Corte d’Appello in punto assegno al coniuge accoglieva l’appello incidentale del marito proprio alla luce del nuovo orientamento espresso dalla Suprema Corte. Affermava la Corte che il diritto all’assegno di divorzio deve essere riconosciuto solo a seguito dell’accertamento giudiziale dell’assenza di mezzi adeguati del richiedente o dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, vale a dire dell’assenza di autosufficienza economica dell’ex coniuge richiedente assegno divorzile in quanto “l’assegno divorzile ha una finalità ormai meramente alimentare, dunque spetta solo in presenza di un’effettiva necessità di tal fatta; diversamente non spetta, perché il matrimonio è venuto meno e, a differenza che in passato, al matrimonio, non può più essere attribuita la finalità di sistemare economicamente chicchesia.

Nel caso di specie già la Corte d’Appello notava che la richiedente assegno “possiede tutti i requisiti sopra citati (nda: per dimostrare l’autosufficienza economica) essendo assegnataria della casa coniugale ove vive, disponendo di un titolo di studio elevato quale la laurea in giurisprudenza che potrebbe assicurarle, ove messa a frutto, adeguati redditi, disponendo ancora di fonti reddituali, seppur di ridotta entità e di importati cespiti mobiliari e immobiliari così come dimostrato in istruttoria”.

Il ricorso per Cassazione veniva proposto dalla moglie cinque giorni dopo la pubblicazione della sentenza delle SS.UU. n. 18287 dell’11 luglio 2018, che tornava a definire la natura dell’assegno di divorzio mitigando l’orientamento formatosi solo l’anno precedente.

La moglie nel ricorso lamentava innanzitutto la violazione dell’art. 5 comma 6 L: 898/70 in quanto la sentenza di secondo grado avrebbe escluso il diritto all’assegno con argomenti basati su una lettura della nota sentenza 11504/2017 della Corte di Cassazione, senza considerare quanto dall’appellante riportato in conclusionale ed in repliche di secondo grado.

La ricorrente proseguiva affermando che la sentenza avrebbe completamente disatteso “questi passaggi” riferendosi soprattutto all’incidenza delle scelte, operate concordemente dai coniugi, nel corso del matrimonio, sull’assegno di divorzio, aspetto questo invece correttamente rivalutato dalle SS.UU. con decisione dell’11/7/2018.

Il marito resistente sottolineava che il Tribunale prima, la Corte d’Appello poi, avevano accertato, che

-la signora ***** “benchè priva (da sempre e sembra per sua scelta) di stabile occupazione è proprietaria di alcuni immobili e fruisce anche di aiuti economici da parte dei suoi genitori, tanto da condurre anche ora come in passato, di fatto, una vita alquanto agiata, almeno stando alle spese che, dimostratamente, ha potuto e può ancora affrontare”

-all’epoca del matrimonio, i coniugi vivevano in appartamento donato alla signora *****dai genitori;

-gli stessi genitori della ricorrente consentivano alla coppia e consentono tuttora alla signora ******** di godere e mantenere un agiato tenore di vita;

-la signora ********** che all’epoca della separazione aveva 44 anni, pur in possesso di titolo di studio elevato e di una compiuta pratica forense, non valutò di iscriversi all’esame di Stato che le avrebbe dato l’opportunità di iniziare la professione, se quello fosse stato il suo desiderio;

-all’indomani della separazione invece il marito accese un mutuo per acquistare un appartamento, contraendo un debito che in costanza di matrimonio non aveva dovuto affrontare;

-il marito stava ancora rimborsando i prestiti contratti per avere la disponibilità di una casa idonea ad ospitare i figli, che in un certo momento avevano lasciato la casa materna perché non andavano d’accordo con il di lei nuovo compagno;

-i figli della coppia frequentavano scuole private le cui spese erano state ampiamente sostenute dalla madre;

-la stessa aveva la disponibilità di un ingente patrimonio immobiliare;

-pur lamentando l’impossibilità di mantenere il tenore di vita coniugale, non riteneva di poter mettere in locazione un immobile di sua proprietà certamente redditizio, ma anzi se ne accollava le spese.

Nella difesa del sig. ********* ho ricordato che secondo le Sezioni Unite il legislatore impone di accertare preliminarmente l’esistenza e l’entità dello squilibrio economico tra i coniugi determinato dal divorzio mediante l’obbligo della produzione dei documenti fiscali dei redditi delle parti ed il potenziamento dei poteri istruttori officiosi attribuiti al giudice.”

Solo se verificata un’eventuale disparità economico–patrimoniale a sfavore del richiedente assegno, vanno applicati gli altri criteri indicati dall’art. 5 co. 6 L.898/70: se cioè si dovesse constatare una rilevante disparità economico patrimoniale degli ex coniugi al momento dello scioglimento del vincolo, bisognerà verificare se tale disparità sia dipendente dalle scelte di conduzione di vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio, con il sacrificio delle aspettative reddituali e professionali di una delle parti in funzione della formazione del patrimonio comune e/o dell’altro coniuge, e comunque in base alla durata del matrimonio, all’età del coniuge richiedente, ed alla conformazione del mercato sul lavoro.

Nel caso di specie ritenevo non sussistere alcuno squilibrio economico-patrimoniale in danno della signora ****

Infine,

la Corte di Cassazione con l’ordinanza in commento ha ritenuto inammissibile il ricorso specificando che:

–        I criteri per attribuire l’assegno divorzile non dipendono dal tenore di vita godibile durante il matrimonio

–        Lo squilibrio economico patrimoniale tra i coniugi opera unicamente come precondizione fattuale il cui accertamento è necessario per applicare poi i parametri di cui all’art. 5 co. 6 L 898/70;

–        Nel caso di specie non si è verificata detta precondizione di squilibrio essendosi piuttosto accertato che la condizione dell’ex moglie è complessivamente più solida del marito e che il livello reddituale della stessa è stato determinato dalla famiglia di origine

–        La moglie aveva un titolo professionale che le avrebbe consentito di immettersi sul mercato del lavoro restando comunque titolare di redditi che le garantiscono un’ampia autosufficienza economica.